
Conclusasi il 5 novembre nello Spazio Vitale di Aversa la personale dello scultore sarnese Ugo Cordasco, dal titolo Senza peso, che ha incontrato il favore unisono di pubblico e critica.
L’artista, ormai nel pieno della maturità, ha mostrato in questa occasione una splendida sintesi del suo percorso esistenziale e poetico. Passando attraverso l’esperienza di architetto legato oltre che alla progettazione edilizia, all’estetica e allo sguardo urbano, Ugo ci dà concreta testimonianza del suo amore per la materia da un lato e il trascendente dall’altro.
Vent’anni di attività professionale, che per difficoltà logistiche ed economiche vedono i suoi migliori lavori non realizzati, valgono ad approdare a una crisi esistenziale secondo lui fruttuosa: ‘Ciascuno di noi dovrebbe avere almeno una crisi nella vita, perché la crisi è l’occasione migliore per rifondarla la propria vita’.
L’evento che gli dà sentore di essere più nella scultura che nel design dell’architettura, è la creazione di una piantana portariviste denominata Lancillotto. Vedendola realizzata comprende che ha una potenzialità più di scultura che di oggetto d’uso. Da lì l’intuizione di togliere funzione agli oggetti che disegna.
Ed ecco l’apertura alla scultura, con cui mette a fuoco la sua latente necessità interiore di voler fare un percorso artistico di libertà e intuisce di essere sulla strada giusta. Si rende conto di riuscire finalmente, grazie a questo operato, a sublimare la sofferenza della condizione umana. Però le sue prime sculture, già enormi di grandezza, non annettono se non il piacere di scolpire. Non sono smontabili, sono tanto grandi da renderne difficile il trasporto. Sarà solo qualche anno dopo che inizierà a mostrarle. Ritornando alla mostra Senza peso: tre stanze arredate dai suoi molteplici disegni nonché dalle sculture in ferro, materiale che sceglie ad emblema della fragilità e leggerezza umane, motivi dominanti del suo sentire. E’ lui a saldare le lamine in ferro spesse solo due millimetri, perché a un certo punto del suo cammino sceglie di entrare in officina per essere artigiano della sua arte. Si appoggia con umiltà all’esperienza dei maestri fabbri per imparare ‘il mestiere’ e ne ‘ruba’ i segreti che servono a lavorare il metallo che userà per abitare lo spazio con un impeto di delicata ascesa.
Quelle botteghe dove le saldatrici generano traiettorie luminose e polveri e puzzo di bruciato lo hanno sempre affascinato, sin da ragazzo.
Fragilità perché ritiene che nella fragilità sia insita l’intensità dell’uomo, in quanto l’uomo fragile si ’lascia penetrare dalle cose e più ne trattiene, a differenza dell’uomo forte su cui le stesse rimbalzano allontanandosene’, e a scuola insegna ai suoi studenti a non vergognarsi ritenendola una debolezza.
Leggerezza perché l’ama particolarmente, ritenendola salvifica in questa modernità usurata dal troppo pieno.
‘La fragilità mi appartiene. Quella della leggerezza invece per me è innanzitutto una ricerca interiore. Penso che ad entrambe si possa chiedere soccorso per non essere schiacciati dagli eventi’.
Da anni si esercita a sottrarre più che aggiungere.
Il suo scopo sarebbe il sottrarre sino ad arrivare all’essenza.
Le sue capanne rimandano ai giochi dell’infanzia, dove si cercavano rifugi nascosti e stare insieme era complemento e non contrapposizione allo stare da soli. All’interno delle capanne, pezzi di lamiere messe lì come traccia di eventi dolorosi di cui non vuole parlare. Al di là di questo, Ugo non ama raccontare il ‘suo’ significato delle opere, per lasciare totalmente libero il fruitore di interpretarle. Ogni qualsivoglia interpretazione ha la sua validità, legittimata dai molteplici fattori anche ambientali cui l’opera soggiace, in primis spazio e luce.
La site-specific invece è una stanza abitata da una sola installazione, creata esclusivamente per quel luogo.

Potrà in seguito essere trasferita altrove, ma non sarà mai più la stessa cosa. Dunque è possibile trasferire solo l’idea, perché le strutture, una volta trasferite, prenderanno in assetto diverso altre forme e contenuti. La site di Spazio Vitale è fatta da esili fili di ferro collegati tra loro e alle pareti senza toccare terra. Sulle pareti figurano anche disegni a matita che uniscono i vari pezzi, ed ombre che in qualche modo entrano anch’esse a far parte dell’installazione. Ritengo questo della site specific il lavoro di Ugo più espressamente dedicato alla leggerezza, più intimo e delicato eppure più a carne viva esposta. Dai commenti ascoltati ho notato che ha molto emozionato i visitatori. Io stessa entravo ed uscivo da questa stanza provando difficoltà ad allontanarmene definitivamente.
Nelle interviste rilasciate, Ugo ha un parlare appassionato che anch’esso coinvolge:
‘Il ferro è come il segno della matita nel disegno. Cerco di trasferire nell’opera l’energia che sulla carta è nello schizzo. Lo schizzo è il depositario di tutta la forza interiore dell’artista.’
