Hemingway e la morte     

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 Ad Ernest Hemingway, il Giornalismo ricorda una delle sue stelle più lucenti  

 

Morire è una cosa molto semplice. Ho guardato la morte e lo so davvero. Se avessi dovuto sarebbe stato molto facile. Proprio la cosa più facile che abbia mai fatto […]”.

Uno sparo. Ed un corpo che si accascia inerme, senza vita. Ernest Hemingway è morto, questa la notizia, la news che nel 1961 invase prepotentemente i giornali, le radio e le televisioni. Oggi, cinquantacinque anni più tardi, non si può non volgere la nostra mente ad un mito, ad un eroe di guerra, ad uno scrittore perduto, ad un uomo la cui campana è suonata troppo presto, viziata dalla mano dell’uomo: dalla sua mano: da quel suicidio inaspettato, ma non inevitabile. Un corpus da scrittore immenso, una vita spericolata (molto di più rispetto a quella celebrata dalla canzone di Vasco), vissuta al limite (spesso superato), sempre sul filo del rasoio, nei pressi di un precipizio ove un solo passo falso può essere fatale. Lui, no! Aveva bisogno di un’uscita di scena de vero istrione, una conclusione degna della scenografia della sua vita. Come uno dei personaggi dei suoi romanzi, il 2 luglio 1961, Hemingway si alzò di buon’ora, scese in cucina ed impugnò il suo fucile (nascosto invano e male dalla sua compagna), se lo posizionò in bocca e…premette il grilletto! La scelta era stata fatta. Aveva seguito l’esempio di Seneca ed i dettami dello stoicismo da lui particolarmente apprezzato. Finalmente aveva raggiunto l’apatia! Vessato da ogni sorta di problema e fisico e psichico, poco prima del suicidio aveva affermato: “ (L’elettroshock) è una buona cura, ma abbiamo perso il paziente”. A differenza di altri ha preferito diventare una sempiterna leggenda anziché vivere tanto a lungo da essere uno scrittore qualunque o un dimenticato. Questa è, forse, la grande eredità di Ernest: la temerarietà. L’idea che siamo noi gli artefici del nostro destino, un’idea sì radicale che, come spesso accade quando ci si vede scivolare di tra le dita la vita (a mo’ di sabbia portata dal vento), porta ad autoinfliggersi una punizione: in questo caso, la morte. Tralasciando questa biografia da Indiana Jones e da eroe omerico, Hemingway è stato uno dei più fecondi autori del ‘900, difficilmente riducibile al solo premio Nobel del 1954. Autore che con il suo ardire nell’affrontare problemi politici, finì sotto inchiesta da parte dell’ FBI per oltre vent’anni. Poeta che ha criticato, amandolo, il “Bel Paese”. Amante del divertimento e dell’alcool (“il mojito alla Bodeguita Del Medio in Calle Empedrado e il daiquiri al Floridita in Calle Obispro”, scriveva, consegnando questi due cocktail all’immortalità). Ecco, proprio in questo torrido giorno di luglio, il modo migliore per rendere omaggio ad un colosso della letteratura statunitense e mondiale, è sedersi comodamente sulla poltrona e (magari sorseggiando del buon rum) gustarsi l’essenzialità paratattica dei libri di Hemingway.

 

Studente presso il liceo classico "T.L. Caro di Sarno". Appassionato di storia e storia militare, avido lettore di ogni tipo di letteratura, con una predilezione per quella anglosassone. Amante del teatro e cinefilo tout court.