
“Continuità o rottamazione?” E’ il dilemma di questi anni, in cui campeggia, nella politica e nella società, lo scontro fra chi vorrebbe una linea di continuità con il passato e quanti invece hanno scelto lo slogan del “Tutti a casa”. In realtà, tutta la storia è stata percorsa da questo lacerante interrogativo. Basta dare uno sguardo all’antica Roma, che, come al solito, ci fornisce risposte illuminanti.
Il cambiamento radicale ha ispirato l’intera storia della “caput mundi”, che ha saputo riconfigurarsi costantemente, sperimentando tutte le soluzioni istituzionali del mondo antico: dalla monarchia alla repubblica all’impero. Un grande storico greco, Polibio, che dal 168 a.C. rimase per diciassette anni come ostaggio a Roma studiandone la storia, formulò (anche se in modo meccanico) una teoria politologica interessante: quella della “anakýklosis”, secondo cui il mutamento istituzionale (oggi diremmo appunto la “rottamazione”) è un fattore fisiologico della società.
Egli ritiene che, in ogni contesto -come quello romano- che voglia sperimentare tutte le soluzioni situazionali, si verifica inevitabilmente un passaggio dalla monarchia alla sua forma degenerativa (la tirannia), da cui poi si passa all’aristocrazia che regredisce nella oligarchia, dopo la quale si afferma la democrazia, a cui segue la sua forma degenerativa, che è la oclocrazia, cioè il potere sregolato e caotico della massa. Poi il ciclo riprende daccapo. La grandezza e la nobiltà della persona umana restano salve e solide, pur tra gli sconvolgimenti politici. Anzi -aggungiamo- è proprio nella crisi politica in cui tutto e tutti sono rottamati che rifulge la virtù dell’uomo, il quale, per la cultura latina, resta il “fabbro della sua fortuna”.
E così Roma osò rottamare la storia greca, poiché inserì le gloriose “pòleis” (le città-stato) nella struttura sovranazionale e multiculturali dell’Impero; ed ebbe il coraggio di aprirsi ad un “meticciato” politico che inglobò gli abitanti di tutte (o quasi tutte) le nazioni dell’Europa di allora. E, per capire la scelta rivoluzionaria di Roma, basti ricordare che nelle città della democratica Grecia i “meteci” (gli stranieri greci residenti) non potevano essere nemmeno proprietari di beni immobili.
I riflessi sulla cultura di questo processo di rottamazione di una visione ristrettamente italo-centrica furono evidenti e sorprendenti. Fiorì una serie di intellettuali provenienti da tutte le nazioni extra-italiche. E così il gallico Tacito smascherò la follia dell’assolutismo imperiale, lo spagnolo Marziale seppe alternare le corde dell’ironia a quelle dell’elegia e l’africano Apuleio indagò sui misteri della magia e delle pratiche di iniziazione. E così Roma si preparava alla più grande operazione di rottamazione della storia: mise in soffitta il suo Paganesimo per aprire le porte al rivoluzionario Cristianesimo, che promise all’uomo, con la morte-resurrezione del Cristo-uomo-Dio, la felicità eterna.