STUTZ | La recensione del documentario di Jonah Hill

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Dalla nostra inviata negli Stati Uniti d'America

Produced by Netflix, STUTZ is the documentary that literally conquers the Americans. Jonah Hill, The Hollywood actor, here himself and the director, dedicates an intimate movie to his therapist – the man and his tools – that, going further the usual psychotherapy, unveils their pretty similar experiences and the intense relationship between them.

Passato un po’ in sordina tra i contenuti di Netflix Italia, questo gioiellino si palesa a chi cerca qualcosa di diverso dall’ahinoi ennesimo intrattenimento del post settimana impegnativa al lavoro.
Un po’ stretto nella categoria dei documentari, poiche’ ascrivibile per meta’ al girone self guide e in parte allo stile bio-grafico, STUTZ (in Italia “Il metodo Stutz”) e’ la seconda opera da regista dell’attore statunitense Jonah Hill, che vanta una solida carriera tratteggiata perlopiu’ dalle sue performance comiche.
Di solito e’ il trailer che ha lo scopo di anticipare l’essenza del prodotto filmico. Questa volta suggerisco di soffermarvi sulla locandina: un elegante bianco e nero, Phil Stutz al centro, con le mani aperte e gli occhi chiusi. Intorno alla sua testa, una moltitudine di parole e disegni a matita, al centro dell’immagine una didascalia a mo’ di invito:

meet a different kind of therapist

Il documentario discorre essenzialmente di questo: il pattern e l’efficacia dei metodi di Stutz, – lo psichiatra di Hill con pluerinnale esperienza nella pratica, riconosciuta anche nell’ambito della saggistica sul tema – e la relazione tra i due. Tuttavia solo il primo rappresenta l’intento originario, il secondo e’ la conseguenza necessaria o l’unica strada possibile.
Nella prima sequenza i due sono l’uno di fronte all’altro, Hill palesa e condivide con Stutz l’intenzione di mostrare le tecniche di lavoro – e di visualizzazione – dello psichiatra nel tentativo di raccontare quanti benefici siano in grado di arrecare alla vita delle persone, ma anche di girare un film sulla persona Stutz, le sue immersioni nella vita come elementi portanti della sua pratica. Stutz e’ complice, dice Hi Jonah, okay, entertain me, mentre Hill inizia a far domande, conferendo all’incipit della narrazione una credibilita’ contenutistica mediante l’andirivieni di vissuto e metodo, metodo e vissuto raccontati dallo psichiatra.
Ecco cosa so di Stutz: uomo gentile, voce pacata, occhi empatici e mani che tremano. Ha 74 anni, il Parkinson e ha perso un fratello quando aveva nove anni. Sin da piccolo scolo preferenziale del dolore degli altri (when I was a child, they pour out their hearts), il lavoro come terapista coincide con la sua vocazione. Il suo metodo colpisce subito occhi e mente e favorisce il coinvolgimento emotivo. Il modello della neutralita’, dirompente tra i piu’ quando ha iniziato la professione, appare volutamente negato in quella che a tutti gli effetti si impone come totale decostruzione della canonica sessione terapeutica. Stutz non prende le distanze dai suoi pazienti, e’ piu personale e insistente rispetto al “dimmi come ti fa sentire questo”. Si serve di rettangoli di carta per trasporre big ideas into simple images: le illustrazioni traducono le trame concettuali affrontate e occorrono ad attivare le visualizzazioni interiori. Il regista lo sa bene, infatti dispone di primi piani, ingrandimento e animazione dei disegni per sottolineare l’intrinseca necessita’ degli stessi nel lavoro di cura.
Stutz passa in rassegna le componenti della sua pratica terapeutica: dalla Life force, o la relazione con il proprio corpo fisico (all’inizio del percorso di cura pesa l’85% del totale di questa energia), con gli altri e con se stessi, alla Part X, the villain in the story of being a person, ovvero la parte piu’ giudicante e antisociale di se’, una forza invisibile atta a bloccare evoluzione e potenziale, al Maze, il labirinto o il trauma del passato nel quale si puo’ rimanere imprigionati e che e’ possibile fronteggiare ciclicamente tramite l’active love e la radical acceptance.
L’urgenza, la profondita’ e la generosita’ del racconto, la volonta’ condivisa di esserci – insieme – in questo progetto, frammisti ad una fortuita quanto insolita somiglianza tra i due (anche l’attore-regista ha perso un fratello), costringono inevitabilmente Jonah Hill persona a smettere di sottrarsi al botta e risposta e al Jonah Hill regista di far collassare letteralmente la finzione cinematografica realizzata fino a quel momento.
Do you wanna be right or do you wanna create something? Hill, domandandosi se e’ possibile e giusto fare un film che parli di persone vulnerabili senza esserlo lui stesso, pone fine all’approccio unicamente interlocutorio adottato sin li’ e inizia a svelarsi vulnerabile. Anche i colori cambiano: il bianco e il nero lasciano spazio ai colori e lo spettatore scopre che i due sono sempre stati in un set dotato di green screen, dove hanno registrato per circa due anni, indossando gli stessi abiti di scena. A questo punto Hill mostra l’intero set a Stutz, e ci si commuove a guardare i due tentare di togliere ogni finzione possibile. Si inaugura dunque una vera dinamica del confronto, che li vede very grounded and at the same time reach for the stars, entrambi vulnerabili e al tempo stesso alati. Parole e silenzi si bilanciano tra i due, il concetto di Shadow, la versione di se stessi che piu’ vuol nascondere al mondo, da’ l’opportunita’ a Hill di raccontare quanto il suo peso corporeo rappresenti tutt’oggi un’ombra dolorosa nel suo percorso, rivelando una fragilita’ inedita. La fotografia e le composizioni al piano contribuiscono ad accompagnare il dialogo a cuore aperto (i due si dicono spesso I love you).


STUTZ e’ un documentario illuminante perche’ parla di aiuto, ovvero di uno psichiatra che aiuta un regista con la terapia e di un cineasta che aiuta un terapeuta con un film. E’costruito con intelligenza ed anche un po’ fierezza, poiche’ Jonah Hill offre allo spettatore la visione di un atto di faith - fede e fiducia - nei confronti del cinema.
 
Come affrontare una perdita? Come uscire da una situazione stagnante? Come penetrare le nuvole? Dove voglio andare come essere umano?

Il focus e’ sempre sul processo, sul tentativo che non e’ mai isolato ma che dura una vita intera.

Official trailer

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Diletta Ciociano, laureata magistrale in filosofia, masterizzata ed esperta di management delle risorse umane, professionalmente si occupa della gestione di progetti in ambito sociosanitario, pubblico e privato. Da sempre grande divoratrice di libri e film, ma appassionata di linguaggi culturali in generale, legge e dispensa consigli su cinema, letteratura, podcast e musica. Di recente trasferita negli Stati Uniti, vive a New Haven, Connecticut