Rusalkoe e l’arte di fotografare uno spazio liminale

Intervista a Mario Vastola: quando il talento incontra la creatività

Catturare un’immagine in divenire e imprimere quel momento sulla carta, fermandolo per sempre. Il lavoro di Mario Vastola – in arte Rusalkoe – in fondo, è proprio questo. Il suo obiettivo è scattare ritratti in luoghi abbandonati, spazi che da tempo nessuno considera più vivibili. Eppure, il loro fascino è talmente tangibile, che è possibile percepirne l’odore e l’atmosfera rarefatta, anche se sono ritratti soltanto in foto.

La caratteristica principale dell’arte di Rusalkoe è la ricerca dello spazio liminale, un luogo di transizione che segna un passaggio tra un punto (nel tempo e nello spazio) a un momento successivo. Mario trae la sua ispirazione andando alla ricerca di luoghi abbandonati, un tempo forse belli, ma oggi dimenticati.
Il risultato? L’obiettivo della sua macchina fotografica ridona valore agli spazi “vissuti”, quelli che nel tempo presente hanno perso utilità e bellezza. E l’Italia, patria di ricchezze artistiche inestimabili, è purtroppo sempre più ricca di luoghi in stato di totale abbandono. Rusalkoe riesce a immortalarli nelle sue foto con grande maestria, rendendoli finalmente visibili a tutti.


MediaVox Magazine ha intervistato Mario Vastola per conoscere da vicino tutti i dettagli del suo lavoro: dagli studi umanistici di Letteratura inglese e russa fino all’approdo alla fotografia, una passione scoperta per caso e che ha deciso di trasformare nel suo lavoro.

L’INTERVISTA

“Rusalkoe” è il tuo nome d’arte: perché lo hai scelto? Il nome deriva da una figura mitologica del folklore slavo, la “Rusalka”, una specie di lamia (donna vampiro) che, tradita dall’amore di un uomo, si toglie la vita. Torna, però, sulla Terra sotto forma di zombie, e inizia a rapire e a uccidere dei bambini, aspettando il ritorno del suo uomo lungo un fiume. Il suo unico obiettivo è quello di potersi vendicare di lui! Ho scelto di chiamarmi Rusalkoe perché volevo rendere la Rusalka fuori dal confine di genere maschile o femminile: in russo, infatti, la terminazione “oe” è neutra.

Quando ti sei appassionato alla fotografia? Già da piccolo avevo questo pallino, perché mio padre mi aveva introdotto alla fotografia facendomi conoscere da vicino la sua prima macchina analogica. Poi, guardando il film Jurassic Park 2, ho cominciato a sviluppare ancora di più una curiosità verso questo mondo. Nel film, una dei protagonisti è una fotoreporter, che si accosta all’estremo di un dinosauro per fotografarlo più da vicino. Dopo anni, nel 2016, andai a fare un viaggio a Riga con una mia amica russa. Lei aveva una macchina fotografica e io non sapevo neanche usarla: scattai delle foto per gioco e mi resi conto che non erano poi così brutte come pensavo! Una volta tornato a casa decisi di acquistare anch’io una macchina fotografica: da lì non mi sono più fermato.

Il tuo lavoro si basa sul concetto di spazio liminale. Che cosa significa? Si tratta di uno spazio in trasformazione che non è mai una sola cosa, perché è sempre in continuo movimento. Ho deciso di iniziare a scattare queste foto ispirato dai racconti gotici, dall’arte Liberty e dal degrado che ci circonda. Il concetto di spazio liminale mi ha sempre affascinato; avendo fatto un percorso di studi umanistici, mi sono spesso imbattuto in artisti come Francesca Woodman, che già negli anni Settanta scattava delle foto a persone in movimento, collocate all’interno di case o fabbriche abbandonate.

Nelle tue fotografie gli spazi abbandonati sono centrali tanto quanto i soggetti che riprendi. In che modo trovi e selezioni le tue ambientazioni? Vado alla ricerca di posti abbandonati tramite segnalazioni su giornali online. A quel punto li passo in rassegna su Maps per capire se possono fare al caso mio. A volte, invece, mi confronto con i membri del collettivo “Urbex Campania” di cui faccio parte. Ci diamo delle dritte su come poter trovare nuovi posti da esplorare, ma nella maggior parte dei casi li trovo lavorando in solitaria.

Chi sono le persone che si rivolgono a te e che cosa ti chiedono? Da quando ho iniziato mi sono sorpreso tanto per la varietà di committenti che si sono rivolti a me. Ragazze, donne mature e uomini adulti mi hanno contattato per motivi completamente diversi tra loro. C’è chi voleva esplorare un posto abbandonato e ha visto nel mio lavoro un’opportunità per avere delle foto ricordo; ma c’è anche chi voleva trasmettere qualcosa e, guardando le mie foto, ha percepito un qualche messaggio nascosto.

Come definiresti le tue fotografie? Non ho mai voluto rientrare in un genere specifico, quindi mi risulta difficile definire quello che scatto. Io cerco di creare quello che più mi piace: se le persone che guardano i miei scatti vogliono attribuire loro qualcosa, a me fa solo piacere. Ma quello che mi spinge a fare ciò che faccio è solo il piacere.

Prima che la fotografia entrasse nella tua vita, come ti immaginavi? Quale lavoro pensavi che avresti fatto da grande? Una delle mie più grandi passioni è il viaggio. Quindi scelsi la facoltà di Lingue per diventare un interprete o un traduttore: all’epoca pensavo che fossero dei lavori con i quali avrei potuto viaggiare tantissimo. Poi, qualche anno fa, ho scoperto questa passione per la fotografia. A ripensarci oggi, credo che mi sia andata anche meglio di quello che speravo!

Da Poggiomarino a Milano: perché hai scelto di andare via? Sono a Milano da meno di un anno e al momento lavoro solo su commissione, anche se a breve ho intenzione di aprire uno studio tutto mio. Ho scelto Milano perché ho provato per diverso tempo a fare questo lavoro a Napoli, ma tra le due città c’è un approccio completamente diverso alla fotografia. A Napoli sono di tendenza le fotografie di matrimoni o di eventi familiari; a Milano, invece, ho trovato un pubblico diverso e ho scoperto una città più in sintonia con la mia concezione di fotografia.

Oltre a essere un fotografo, sei un profondo conoscitore della cultura russa. Qualche settimana fa, gli organizzatori del Festival di Fotografia Europea di Reggio Emilia hanno annullato la mostra “Sentieri di Ghiaccio”, dedicata alle fotografie degli artisti russi. Che cosa hai pensato? Credo sia stata una decisione molto stupida. Si dovrebbe avere il coraggio e la forza di dividere il mondo della cultura dagli affari della politica, cosa che in Italia invece non avviene. E infatti, oltre alla mostra, a Milano ha fatto molto discutere la decisione di censurare il corso universitario su Dostoevskij proprio per i recenti avvenimenti. A me dispiace tantissimo perché conosco tantissime persone russe e ucraine, e posso affermare con certezza che non hanno nulla di negativo: sono delle persone normalissime, che dovrebbero essere rispettate proprio in quanto tali.

Quali progetti hai per il futuro? Al momento sto cercando di farmi conoscere il più possibile ma sto avendo già le mie soddisfazioni, perché non mi aspettavo una risposta così pronta da parte dei miei committenti. In futuro vorrei continuare su questa strada, quindi continuerò a scattare foto di ritratti in luoghi abbandonati. Mi piacerebbe anche collaborare con aziende o con persone che si occupano di arte. Ma vedremo, il mio è un percorso in evoluzione proprio come gli spazi liminali che amo fotografare.

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Laureata in Giornalismo e Cultura editoriale all' Università di Parma nel 2018. Ha collaborato con italianradio.eu come articolista e conduttrice radiofonica di Radio Pizza Olanda, il canale di informazione per gli italiani residenti nei Paesi Bassi. Dopo una breve esperienza formativa negli studi di Radio ART si è trasferita in Svizzera e attualmente vive a Montreux. Appassionata di musica, moda, cinema e tecnologia.