
Dalla nostra inviata negli Stati Uniti d'America
BLONDE is the controversial Marylin Monroe’s portrait signed by Andrew Dominik. Half appreciated half torn to shreds, the movie is the attempt to show the inner reality of Norma Jeane, the person instead of the icon.
Heart breaking, occasional desecrating, everyone agrees with the astonishing performance of Ana de Armas
Questa e’ un’epoca florida di biopic. Trattandosi di un genere cinematografico fondato sulla ricostruzione della biografia di un personaggio realmente esistito, si configura come particolarmente attrattivo nell’era della memoria, come quella attuale, in cui il passato incombe luminosissimo sul presente ed il futuro e’ cosa incerta.
I biopic pero’ finiscono spesso per essere tutti uguali, didascalici, asettici, che nel tentativo di commemorare svelano la loro debolezza, ovvero l’essere a priori un viatico verso la restituzione coreografica ed eroica di chi vogliono raffigurare. Niente di piu’ difficile che raccontare la persona dentro il personaggio, niente di piu’ facile che mostrarla come un altro personaggio.
BLONDE non e’ ascrivibile a questa categoria. Ne’ patinato, ne’ glorioso, l’ultima pellicola del regista australiano Andrew Dominik nasce sotto una buona stella, quella della cinematografia destinata alle nette divisioni, che e’ gia’ di per se’ un’affermazione di grandezza.
Scritto e diretto dal cineasta, in una combinazione rara e coerente, prodotto da Brad Pitt e distribuito da Netflix, BLONDE e’ il racconto dell’interiorita’ di Norma Jeane, conosciuta dal mondo come Marylin Monroe. Presentato in anteprima al festival del cinema di Venezia e accolto da quindici minuti di applausi sui titoli di coda, ne e’ valsa la candidatura agli Oscar per Ana De Armas, prima attrice cubana a riceverne, nella categoria female leading role.
Appena termino la visione di un film, sono solita ritagliarmi una finestra di silenzio prima di passare alla fase documentale. Nella ricerca successiva al guardarsi dentro, procedo cosi’: leggo e ascolto interviste di chi in prima persona ha contribuito a fare quel film, il regista, dunque, per conoscerne intenzioni e visione, e gli attori, i lavoratori tecnici, al fine di capire come e’ avvenuto il processo creativo, quali sono stati gli “umori” che hanno portato con se’ dentro e fuori la pellicola.
BLONDE non sfugge a questa prassi.
Andrew Dominik ha impiegato undici anni per realizzare il lungometraggio: in questo lungo periodo confluiscono la traduzione del folgorante – a detta del cineasta – romanzo di Joyes Carol Oates alle cui pagine sono ispirati sceneggiatura e sguardo sulla storia, il lavoro di rewatch di tutto il materiale con e su Marylin Monroe, l’incessante e oculato lavoro di scouting dell’attrice protagonista, la ricerca dei proventi.
Il film, partorito dal romanzo, mostra l’ardire – perche’ nessuno sa davvero – di raccontare in prima persona il modo con cui Norma Jeane ha vissuto alcune tra le vicende piu’ dolorose della sua vita. “La dea dell’amore del ventesimo secolo”, cosi come la definisce il regista, cosi come e’ stata tramandata nel tempo, ha nella sua biografia l’abbandono del padre, la schizofrenia della madre, il “dentrofuori” dagli orfanotrofi, le violenze sessuali, gli aborti, l’abuso di droghe e alcool, ed una certa riluttanza dei piu’ alla possibilita’ – e capacita’ della stessa di intepretare ruoli diversi da quelli soliti della donna avvenente, ma stupida e bionda. In realta’ Norma Jeane non e’ ne’ bionda, ne’ stupida, e ama moltissimo arrivare informata ai provini, anche se nessuno le crede.
Il ritratto che ne consegue e’ crudo, violento, irrimediabilmente doloroso, senza scampo appunto, perche’ si addentra nelle viscere della vulnerabilita’ di questa donna, con incedere senza delicatezza, asfittico e a tratti disturbante, complici gli opposti bianco e nero e il lavoro di montaggio.
Immagina Marylin Monroe senza i riflettori. Ecco Norma Jeane. Sostituisci quei riflettori con un amplificatore dell’anima, un misto di occhi e orecchie ed un canale preferenziale verso la sua interiorita’. Nell’aspetto incredibilmente simile all’icona di Hollywood, Dominik scopre Ana de Armas per caso, guardando una sua interpretazione nel film Knock Knock. L’attrice fa diversi provini per BLONDE, con sempre maggiore aderenza alla sceneggiatura, sembra incredibile ma all’inizio, circa due anni fa, non sapeva una sola parola d’inglese. Certo e’ che il film coincide con la sua interpretazione.
Durante la conferenza stampa di BLONDE al festival del cinema di Venezia, i giornalisti chiedono ad Ana de Armas come le e’ stato possibile interpretare due personaggi, Norma Jeane e Marylin. Lei risponde che nella maggior parte del tempo c’e’ Norma Jeane, e poi Marylin viene in suo soccorso. L’attrice e’ commossa, afferma che questo film le sta cambiando totalmente la vita.
La connessione emotiva con i personaggi – prima Norma e poi quel che subentra di Marylin – e’ palpabile, lo switch tra i due non voluto, semplicemente accade. Visibilmente emozionata, l’attrice sottolinea l’alone di mistero e esoterismo che ha contraddistinto le riprese: dalla prima scena girata casualmente nel giorno dell’anniversario della sua morte, al privilegio delle location – la casa in cui Marylin trascorre la prima infanzia con la madre, la casa in cui muore – tutto sembra alla troupe una congiunzione con la persona di Norma Jeane in una sorta di tacita “approvazione” da parte sua del lavoro svolto, concludono Dominik e de Armas. Dagli scambi tra regista e attori, il set del lungometraggio si configura come uno spazio sicuro nel quale portare la propria vulnerabilita’, per calarsi in maniera piu autentica nel racconto cinematografico.
Forse e’ proprio per questo che il film separa: decide di mostrare qualcosa su cui nessuno ha reale riscontro, un’interiorita’ che stride con un personaggio di cotanto successo (il regista provocando chiede in un’intervista: qualcuno ha davvero mai visto i film di Marylin Monroe?), ricco di sfumature (le testate americane recitano: che ne e’ della Marylin femminista e audace?), baluardo di una visione fulgida della Hollywood, e dell’America di quegli anni.
Forse cio’ che resta di quell’America non digerisce il film proprio per questa sua presa di posizione che un po’ cambia la storia di Marylin, o la narra diversamente da come vorrebbe essere ricordata.
La scena in cui il suo bambino mai nato parla con Norma Jeane e’ stata infatti letteralmente stroncata dalla critica, piu’ o meno ovunque. A proposito di cio’, il regista dichiara apertamente che oltre ad essere presente nel libro, il dialogo e’ in linea con l’essenza del film: il lungometraggio parla di vulnerabilita’ ed ogni volta che Norma Jeane e’ vulnerabile la sua infanzia riappare. Quel confronto svela l’ambivalenza di essere una donna che ha dentro una bambina traumatizzata ed una madre inadeguata per la quale la figlia ha rappresentato la rovina della sua vita.
Che piaccia o meno, non ci sono colori che tengono in piedi questo film tranne il bianco e nero. A guardare tra le pieghe di Norma Jeane, risultano le battaglie che Marylin Monroe fronteggia per la maggior parte del tempo, tra cui il desiderio bruciante di essere creativa e totalmente soddisfatta della qualita’ del lavoro per cui lotta.
Allora consiglio di emulare Ana de Armas, farsi vulnerabili, aperti e disposti allo struggimento della visione, chissa’ che ne scaturisca una performance ottimale in qualita’ di spettatori.