
Dalla nostra inviata negli Stati Uniti d’America
Che cos’è il female gaze e perché’ è necessario parlarne
Against the male gaze. Why today it’s important to talk about female gaze to change the image of woman in movies and TV
Per chiarire i fatti che non capiamo è sempre opportuno partire dal linguaggio che tenta di spiegarli. Il termine inglese gaze significa sguardo, ma anche fissare, che conferisce al vocabolo originario un’atmosfera di insistenza.
La parola richiama anche l’atteggiamento, l’azione e la loro durata che esprimono fattualmente questa ostinazione protratta implicita nel suo senso.
Ne “Le Ricerche filosofiche” il pensatore Ludwig Wittgenstein afferma che è inutile studiare i fenomeni linguistici indipendentemente dal loro uso, che ne costituisce il significato. Allora appare verosimile che quando si parla di male gaze, sia necessario indagare tra gli eventi per coglierne il senso.
La prima a concettualizzarlo è la femminista e teorica del cinema Laura Mulvey nel 1975. Il male gaze delinea la lente maschile che modella le donne secondo inclinazione e gusti di genere, oggettivandole sullo schermo. Secondo Mulvey, sono tre le coordinate del fenomeno: lo sguardo maschile dell’uomo dietro la cinepresa, quello dei personaggi maschili dentro alle pellicole e, infine, il punto di vista dello spettatore che osserva le scene filtrato dagli elementi precedenti.
Per oltre cento anni, le donne sono state rappresentate come quadri statici, colte in atteggiamenti passivi o compiacenti nei confronti del maschio. Questo modo peculiare di rappresentarle spesso non corrisponde alla realtà e può risultare pittoresco quando i personaggi femminili sono ideati e scritti da uomini, ovvero la maggior parte delle volte.
Grazie all’attivismo, ai social network, alla moltiplicazione degli strumenti informativi, all’accessibilità e all’onnipresenza di divulgatori, una teoria che desiderava illuminare un’anomalia dello show business è diventata capillare, estendendosi all’arte tout court, e all’ambito professionale in generale.
Non dovrebbe risultare faticoso accorgersi che viviamo in una società filtrata da uno sguardo maschile sul mondo. A partire dalla sfera artistica, tutto testimonia la presenza di una prospettiva dominante, che non contribuisce a garantire un equilibrio di osservazione nelle cose dell’esperienza.
Da questa angolazione, la deriva inevitabile è l’esclusione di punti di osservazione che esistono e andrebbero rappresentati.
È vero che non tutti i casi di male gaze sono negativi o pericolosi, tuttavia il tratto che li accomuna è il confinamento delle donne ad un ruolo ancillare all’uomo, specialmente mediante la rappresentazione esclusiva della loro sessualità.
Eppure qualcosa sta lentamente cambiando. Nonostante la fatica di inserirsi in contesti lavorativi guidati perlopiù da uomini, si fa largo un nuovo modo di fare cinema, e soprattutto, una maniera inedita e completa di analizzare e raccontare i personaggi femminili, rigettando la prospettiva voyeuristica tipica dello sguardo maschile.
Il female gaze
Quando si parla di female gaze, ci si riferisce ad un concetto di nuova fattura, ancora in via di esplorazione. Il minimo comun denominatore nella plurivocità di informazioni presenti a riguardo è una certa postura nell’analisi di film e prodotti televisivi. La prima ad aver messo ordine sul tema è ancora Laura Mulvey in Visual Pleasure and the Narrative Cinema sempre nel 1975.
Essenzialmente, il female gaze è il modo in cui le donne sono ritratte mediante gli occhi di una donna e non di un uomo. Attraverso lo sguardo femminile, le donne sono osservate come persone dotate di sentimenti e intelligenza. Il focus non è necessariamente su ciò che gli occhi possono vedere, ma su quello che il cuore può sentire.
Il female gaze si traduce in uno sguardo che ne contiene molti altri, e che ha la capacità di rappresentare i personaggi femminili in una molteplicità di sfaccettature. Non un approccio sessualizzante, oggettificato e statico, ma una postura visiva e interpretativa mobile, che fa appello ai sensi, alle interazioni e ad una cornice situazionale più ampia.
Pertanto, se nel meccanismo rappresentativo l’uomo gioca il ruolo del desiderato, la dinamica è raffigurata in maniera paritaria, dando voce ad entrambi gli attori del desiderio e al terzo costituito dalla loro relazione.
Come funziona il female gaze nel cinema
Prima ci sono i personaggi, veri protagonisti dell’illusione cinematografica. Poi subentrano la cinepresa e l’audience: la prima la veicola, la seconda ne partecipa. Ne consegue che se il male gaze è imperante, ruoli, movimenti di macchina e pubblico saranno pervasi da un senso di “mascolinità’”, indipendentemente dal genere di riferimento.
La sceneggiatrice e regista americana Joey Soloway ha identificato tre principi che contraddistinguono concretamente lo sguardo femminile nell’opera cinematografica.
Si comincia da feeling seeing, il sentirsi visti. Significa percepire i protagonisti dal di dentro grazie alle inquadrature soggettive. Rappresentando i personaggi a tutto tondo, il pubblico riesce a sentire ciò che loro sentono, a provare empatia.
Si continua con gazed gaze, lo sguardo guardato. Grazie all’evoluzione della storia, il pubblico è chiamato a percepirsi oggetto dello sguardo, a sperimentare la sensazione di essere visto e a gestirne le conseguenze.
L’ultimo è returning the gaze, il ritorno dello sguardo. Si tratta del momento della consapevolezza da parte del pubblico, quello in cui si rende conto di essere anch’esso oggetto e lo rifiuta, a meno che non si rimanga su un terreno comune. Siamo tutti oggetto dello sguardo di qualcuno. Lo scambio dei ruoli è la chiave di volta del superamento di una prospettiva univoca e la conseguente apertura a narrazioni originali.
Perché è necessario parlare di female gaze
Sempre più lavoratrici dello spettacolo, showrunner, produttrici esecutive, registe e sceneggiatrici stanno contribuendo nettamente all’inversione di tendenza del fenomeno del male gaze, proponendo versioni differenti di rappresentazioni femminili. Solo per citarne alcuni, tra gli esempi ricorrono le serie Fleabag, Jane the virgin, Russian dolls, Wellmania e The Handmaid’s Tale, o film come Lady bird, Fish Tank e Ritratto di una giovane in fiamme. L’obiettivo è quello di osservare le cose in modo diverso e raffigurarle in maniera corrispondente. Sta diventando urgente la necessità mediatica una rappresentazione femminile scevra da banalizzazioni e mercificazioni. Il medesimo discorso vale per le identità queer, su cui c’è ugualmente molta strada da fare. Lungi dal farne un dibattito dai connotati ideologici, i prodotti artistici incidono su pensiero e realtà attraverso le loro narrazioni, contribuendo a trasformare l’immaginario collettivo. Prospettive più variegate e profonde tratteggiano scenari differenti, lasciando spazio all’immaginazione e all’emersione in libertà e coerenza di quello che le donne possono essere e in fondo sono.
Dal magazine Feminist Flash: Il female gaze non si ferma davanti a segni, imperfezioni, argomenti tabù o luoghi comuni, ma mostra l’universo femminile nella sua infinita complessità. È emotivo e intimo. Vede le persone come persone, cerca di empatizzare piuttosto che oggettivare. È rispettoso e tecnico. Non ha avuto la possibilità di svilupparsi. Dice la verità. Coinvolge il lavoro fisico, è femminile e senza vergogna.