Ancora una personale dello scultore sarnese Ugo Cordasco, a un anno dalla precedente (era ‘Senza peso’, ospitata dallo Spazio Vitale di Aversa)
Questa volta siamo a Montesarchio (BN), e il luogo che alloggia la mostra è il suggestivo Passatoio delle clarisse, che fa parte dell’ex Convento.
Tale spazio aveva un tempo destinazione di stenditoio, ma dalle clarisse era anche usato per pregare e passeggiare al coperto.
Ora, con grande godimento di chi ama l’arte e la bellezza, il Passatoio ha un nuovo destino, le esposizioni, e questa di Cordasco è la seconda che qui si realizza. Il malioso Passatoio svolge in tali mostre indiscusso ruolo di coprotagonista.
L’ingresso nella struttura, ci regala un bel colpo d’occhio su un grande rettangolo traversato da fasci di luce provenienti dalle piccole finestre ad arco laterali, dalle quali si nota un bellissimo panorama su Montesarchio, la Valle Caudina e il Partenio da un lato, e il Castello dall’altro.
Il calpestio in cotto com’è necessario rende i nostri passi silenziosi. Le molteplici sculture dell’artista, sapientemente distribuite nel Passatoio o sospese lungo le pareti, come per una dicotomia distanza-ancoraggio (e queste sono proprio le 4 Geometrie sospese), sembrano venirci incontro, forse per movimenti non del tutto impercettibili delle leggerissime lamine in ferro, che presumo lui voglia così anche per questa ragione, per creare un etereo senso di movimento.
Alle pareti alcuni disegni, opere preparatorie imprescindibili per l’autore, per sua formazione legato al disegno sia per la bellezza intrinseca che per l’importanza storico-strutturale lungo le varie fasi di creazione delle sculture. Ricordo che al disegno a matita Cordasco è stato sempre legato, sin da quando era giovane studente di architettura e certo non immaginava quali svolte artistiche avrebbe preso la sua strada.
Quando arriviamo la sala è già piena di visitatori, che rispettosamente brulicano da soli o a piccoli gruppi, senza disturbare, né essi né il loro brusio, anzi si integrano perfettamente con l’austerità del luogo e il percorso di un autore che parte dalla carne per ‘aprire’ la materia, desiderando-cercando l’approdo… all’anti-materia.
Non a caso i titoli scelti da lui e dai suoi curatori (Michelangelo Giovinale, Senza peso; Francesco Creta, Di-SEGNARE IL VUOTO) per le sue ultime due mostre, fanno riferimento all’assenza di peso e al vuoto.
Ma cosa vuole dirci Cordasco con la sottigliezza delle sue lamine, spesse appena due millimetri. Credo voglia parlarci di leggerezza, e per questa ragione di una più proficua interazione, quasi osmotica, delle immagini scultoree con l’ambiente intorno.
Le geometrie delle lamine raffigurano foglie, radici, occhi. In sostanza, elementi di rimando al naturale, la cui aderenza alla terra è esaltata a volte da velate venature.
I colori scelti, nero, bianco, canna di fucile.
La semplicità delle forme esprime armonia e rimanda anch’essa all’essenziale (e all’ancestrale), che questo luogo senza nessun oggetto predispone ad intercettare ed accogliere. Siamo in uno spazio asciutto, scarno, che desidera non alloggiare oggetti, e le sculture dell’artista non sono qui per profanarlo ma per visitarlo silenziosamente e silenziosamente colloquiare con esso.
Un cammino, quello di Cordasco, fatto di impegno, sacrificio, ricerca, lettura del sé, per incontrare altro da sé e raggiungere l’essenza più intima delle cose.
Tutti gli orpelli della triste modernità nelle sue opere scompaiono e vivono invece sentimenti di armonia e compassione, approdando così al mondo diverso che si vorrebbe abitare.
Ecco perché un altro pregio di questo artista, è quello di saperci parlare contemporaneamente di passato e di futuro.
Cordasco, parafrasando il poeta Franco Arminio, ha l’infiammazione della residenza. Ama viaggiare ma non lascerebbe mai i suoi luoghi, né la sua anziana madre. E’ stato un ragazzo che ha avuto come prima maestra la strada e non l’ha mai rinnegata. Non a caso preferisce collocare le sue installazioni nelle piazze dei paesi, dove chi guarda (il ricco, il povero, il giovane, l’anziano, non ci sono ‘barriere sociali’), passa e se ne va, portando forse con sé una suggestione, una riflessione.
Il retaggio della strada e dell’infanzia vivono stabilmente nelle sue opere, e ciò non rappresenta una contraddizione se definiamo il suo, lungo la ricerca dell’essenziale, un lavoro ‘a sottrarre’. Sottrarre il di più, tutto ciò che ci ingombra la mente distogliendoci, appunto, dall’essenziale.
Il sottrarre non è certo riferito alle radici su cui fonda la nostra esistenza e alle quali lo scultore mostra tenace legame.
Tra le tante, mi hanno molto colpito le due sculture totemiche, le due sole sculture simbolicamente ‘umane’, messe a guardia di una terza scultura sospesa, simboleggiante il ventre materno (da cui prende il titolo), che contiene un seme a forma di mandorla.
Sul fondo del Passatoio, invece, si impone allo sguardo del visitatore la grande Capanna del silenzio, luogo di pace e di meditazione, nel mondo ma anche fuori del mondo
Medico Pediatra, scrittrice, editor, giornalista pubblicista. Da anni si occupa della parola, con un percorso trasversale che va dalla poesia alla narrativa, drammaturgia, saggistica. Ha al suo attivo numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Solinas per il suo fantasy ‘Una magica magia’. L’ultimo libro pubblicato, ‘Il mio primo sole’, edito Oèdipus, narra la sua storia e quella del suo paese.
www.normadalessio.it
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