
Sono qui a scrivere e ho voglia di correre, come il Pelide, e ho voglia di morire,
da eroe, sulle coste di questa penisola che mi è casa,
e di romite isole greche che mi sono icòre, sempiterne.
Con la faccia distrutta ed interrotta,
dopo aver fenduto e squarciato in due Ebe,
sono qui a redimere un testamento per gridare,
per rintronar via da questo megafono
un intero lamento di una generazione in decadimento,
un’ecatomba di inetti, disidratati dalla Speme,
bagnati di sole lacrime e sconquassati
da snervanti e lunghe cantilene…
Ci porgono il bastone d’oro, nel fiorire dei nostri anni,
e ci chiedono di governare proprio lì
dove tutto già verte sulle redini di una giovane e remota
regina mentecatta, stupida società di massa
che mi sei monarca…
Sono il rampollo di questa triste discendenza,
e, nonostante tutto, sono qui
ad esternare il mio flagello,
a portarlo fuori, a porlo a bilancia
alle zotiche menti di decrepite generazioni che
continuano, invano, a perpetuare i loro schiamazzi:
un continuo riverbero di idiozie.
Sono qui a denunciare e condannare al patibolo
le contraddizioni di una società che, ipocrita,
verte alla perfezione ma penetra, nel contempo,
il profondo retto di noi tutti giovani
destinati al bordello.
Sono anni di ansie e tormenti interiori,
placati dalla sola forza di volontà
tipica di quei boccioli a cui tocca subire le gelate
del loro primo inverno e dei prossimi
della loro sfuggente vita.
Sono attimi alienanti
di cui noi duole rammentare,
di cui noi duole esternare,
di cui noi duole affrontare tutti i giorni.
Sono pesanti flagelli
che cerchiamo di tenere in equilibrio,
come funamboli davanti agli stolti,
su quel filo rosso sospeso tra le piazze
che a noi tutti ha donato Arianna,
con lo strazio in corpo che ci torce le ossa
e la cognizione che, gelida, legifera e condanna
la Speme alla pira.
Viviamo tra lo spleen e la voglia di fare.
Viviamo tra le rassicuranti braccia della solitudine
e le adrenaliniche urla del sabato sera, inebriati
chi sa da qual nettare divino e trascendenti sensazioni;
Viviamo tra le fragranti carezze
dei libri e gli strepiti di inconsistenti nozioni,
lordi di aspettative e strazianti aneliti…
Queste sono piogge adolescenziali
che scalfiscono volti e corrodono corpi
anemici e divelti cipressi che,
diseredati, volgono la lingua al plenilunio.
Noi, qui, siamo pozzanghere, inermi,
rifrazioni di questo cielo padre che tristo
ci si riversa e ci rinvigorisce
offrendoci sode libagioni: lacrime,
che fanno di questo lordo cristallo
un mare in tempesta.
Questi sono visi corrosi
fra i siluri e le burrasche.
Non abbiamo pace.
Siamo morti viventi
e non ne avete abbastanza.
Testo di Andreas Ianniello