Salerno Letteratura Festival. Dal 18 al 26 giugno 2021, nei luoghi più intriganti del Centro storico di Salerno, per dialogare di Libri. Cultura e Arte: l’Italia narrata
Ines Minieri, Paolo Di Paolo, Matteo Cavezzali, Gennaro Carillo, Daria Limatola e tutto, ma proprio tutto, lo staff ideativo ed organizzativo hanno fatto di questa Edizione un vero capolavoro. Nomi illustri ed un pubblico interessato: le “occasioni” giuste per rivivere, di nuovo, dopo il lungo stop dettato dall’emergenza sanitaria, la Cultura all’insegna della socialità, del dialogo e del confronto.
Che cosa è un’occasione? L’incontro perfetto tra il cuore che non conosce ragioni e la mente che pensa al ritmo frenetico di un orologio impazzito. Forse. Oppure, è semplicemente un momento. Quell’istante che può cambiare te e la tua vita. Nell’incontro del 25 giugno, di questo, ma di tanto altro, hanno parlato Paolo Di Paolo e Lino Guanciale. Le parole scritte l’uno, le parole recitate l’altro. Il luogo è l’atrio del Duomo: mistero e bellezza. Le “occasioni”, quelle belle.
“Occhi profondi, di quell’azzurro sfumato che si intravede durante un’alba d’agosto, quando il verde delle montagne si riflette nel mare calmo dell’estate”: questo ha sussurrato una ragazza dai capelli rossi e mossi, parlando sottovoce con l’amica distratta, mentre aspettavamo l’inizio della serata. Lui è Lino Guanciale. L’attore che ci ha convinto a Teatro, che ci ha fatto piangere con Il Commissario Ricciardi, che ci ha fatto amare il Medico legale più antipatico della storia delle fiction italiane, che ci ha fatto sperare che i fantasmi esistano, che ci ha fatto fare un tifo da stadio affinché l’happy-end unisse coppie tanto improbabili quanto divertenti…
Ammettiamolo subito: Paolo Di Paolo è stato abilissimo nel presentarci un Lino “amico”, un Lino profondo e leggero al tempo stesso. Una “leggerezza” calviniana, direi, che parte da aneddoti semplici per toccare argomenti complessi. E, così, abbiamo ascoltato un Lino che non avrebbe smesso di parlare per ore, a suo agio, immerso nell’amore per la lettura e per il suo lavoro.
È arrivato puntuale, Lino Guanciale. Anzi, in anticipo. Alto e magro, stile casual, scarpe più “eccentriche” di quelle che avrei immaginato per lui. Fermo, a lato del palco, con una posa tra il timido e il diffidente. Lo sguardo, mai basso, si è illuminato quando ha visto che le persone iniziavano a salutarlo con calore. Un selfie, un autografo, un complimento. “Dopo non scappo, sono qui per incontrare ognuno di voi”: ha abbassato la mascherina; i baffi gli incorniciano quel sorriso che tanto lo contraddistingue.
“Anche di persona è disponibile e gentile come appare in tv”: questo commento sembra una musica di sottofondo, parole che risuonano nell’atrio del Duomo come una nenia dolce e fanno il passa-parola tra le file di sedie rigorosamente distanziate. Lino è ancora lì, scruta tutto come chi sa che cosa deve fare ma non vuole fare il primo passo. Aspetta ma, intanto, è pronto.
I saluti di rito e il bel discorso di Ines Minieri scaldano il pubblico. Ora ad essere pronto non è solo Lino.
Paolo Di Paolo non perde tempo. Lui e Lino, lo dicono apertamente, sono amici di lunga data. Paolo va dritto al nocciolo del discorso. Si parla di “occasioni”, e questo si era capito. “Il mio lavoro è fatto di occasioni. E’ fatto di incontri con l’altro”: è la voce di Lino. Non è impostata. E’ proprio attoriale per natura. E continua con un ricordo importante: “Non dobbiamo riconoscere e attribuirci da soli meriti o qualità che magari non abbiamo. Devono essere gli altri a dirci in che cosa siamo bravi. Non dimenticherò mai che cosa rispose Ronconi quando, durante un’intervista, gli chiesero quale fosse il momento in cui avesse scoperto di essere un grande regista. ‘Quando qualcuno mi disse che lo ero’: fu perentorio!”
Il dialogo tra Paolo e Lino va avanti per parole-chiavi ed immagini. Spunti di riflessione non solo per conoscere il Lino/persona e non il Lino/personaggio, ma anche per riflettere sull’importanza di avere Cultura in ogni tipo di mestiere. E questo nessuno dovrebbe dimenticarlo, nemmeno i giovani.
Paolo provoca in Lino ricordi di una gavetta lunga e dura che lo ha fatto cambiare e maturare, smussando i lati di un carattere non sempre facile. Gli dice “che cosa ti ricorda ‘avere le anche’?” E Lino fa precedere la risposta da una risata così sana che è contagiosa: “Il periodo in cui studiavo Teatro alla Sapienza di Roma.” Come se i momenti di ieri fossero ancora attimi di oggi. “Avere le anche” nel gergo teatrale significa sapere tenere la scena, quella capacità istrionica di stare sul palcoscenico che si acquista col duro lavoro di anni. E, poi, passa dal Tetro “Nō”, a tutta la rilettura del Teatro orientale, per poi finire con la definizione di talento: “Il talento lo costruisci, è l’attitudine che vuoi fortissimamente tu!”. Forse non dedichiamo mai troppo tempo a questa storia del talento e, spesso, non proviamo nemmeno a metterci alla prova, trincerandoci dietro alibi che non esistono, costruiti ad arte per far prevalere la paura e la pigrizia sul rischio e sull’impegno.
Ancora una parola-chiave: imprevedibilità. Lino Guanciale, forse lo sanno tutti, è stato un giocatore di rugby. Per lui quella della palla ovale è una metafora di vita. Parafrasando una citazione cinematografica illustre, dice: “E’ un po’ come Silvester Stallone che, nel ruolo di Rocky, mentre si allena, insegue le galline. Nel rugby la palla rimbalza in maniera incalcolabile e anche l’atleta più prestante è costretto a correrle dietro, senza sapere quale sarà la sua traiettoria finale. Questo sport mi ha aiutato, da adolescente, a superare il senso di inadeguatezza che avevo verso gli altri e forse mi ha dato la spinta necessaria ad avere il coraggio di seguire il cuore e scegliere un mestiere imprevedibile.”
Quando sullo schermo appare una foto, il tono di voce di Lino diventa malinconico. E’ Edoardo Sanguineti. Il poeta, lo scrittore, il drammaturgo, il critico letterario, il traduttore, l’accademico, il saggista. Subito la malinconia si trasforma nella gioia dell’affetto. Ci narra di come lo ha conosciuto, di quando hanno collaborato, del perché si siano dati sempre del “lei”. Della volta in cui lo ha omaggiato con un monologo tratto dalle sue opere e Sanguineti si è commosso. Legge “Nella mia vita ho già visto…”, la lirica n. 13 tratta da “Cataletto”, e davanti ai nostri occhi il profilo duro di Sanguineti sembra quasi sorridere. Quell’immagine ci appare meno burbera. Perché far entrare la poesia nella propria vita significa riuscire a guardare oltre le apparenze.
È la volta di Proietti. Gigi, il Maestro dal cuore d’oro. Lino ci svela che al suo primo spettacolo insieme a Gigi, subito dopo il Diploma all’Accademia, davanti a lui, nel ruolo di Paride in “Romeo e Giulietta”, non riusciva ad articolare nessuna parola. Muto. Rimaneva muto. Ha un pregio, Lino: non è in imbarazzo nel raccontare i suoi punti deboli che, con tenerezza ed autoironia, diventano veri e propri “cavalli di battaglia”.
Un libro che Lino porta sempre con sé? “La peste di Camus”. Perché aveva 24 anni quando lo mise in scena integralmente a Torino e le 6 ore di spettacolo furono un gran successo.
Una sfida vinta? “Il rifacimento de ‘La classe operaia va in paradiso’ e il personaggio di Lulu Massa che fu di Volontè”.
Un episodio sui generis? Quando, sempre verso i 23 o 24 anni, era a Lugano per uno spettacolo e condivideva la stanza di albergo con un collega attore ludopatico. Lui era convinto che Lino portasse fortuna e lo portò con sé al Casinò: “Alle 4 di mattina, io dormivo, lui vinse. Divise la somma con me, io comprai un sacco di libri con quei soldi.”
Poi, quello che molti vogliono sapere e pochi osano chiedere. Perché un attore teatrale tanto apprezzato finisce in televisione a fare le fiction? “Io ho aspettato di essere pronto. Ho atteso che i tempi fossero maturi per affrontare i ritmi frenetici della tv e, allo stesso tempo, per non abbandonare il teatro e il cinema. Sono stato estremamente fortunato nel diventare subito popolare e nell’essere stato sempre libero e sereno nel prendere ogni decisione che riguardasse la mia carriera.”
Ma tu che approccio hai verso i personaggi che interpreti? “Brechtiano! Precisiamolo: l’attore non è il personaggio che impersona. A me sono accaduti tanti episodi simpatici in merito.” Aggiunge: “L’attore costruisce dei ponti tra sé e il testo scritto, in modo tale da riuscire a fare meravigliose scoperte su cose che non conosceva o che aveva rimosso o ancora aveva tenuto nascosto. Non in una prospettiva egoriferita ma per superare dei limiti ed essere più empatico verso gli altri.”
Non possiamo che chiudere così: quale libro è opportuno regalare? “Quello che tu ami. Dimmi che cosa leggi e ti dirò chi sei”.
Quando l’Arte bacia la Cultura, il sentimento è così forte da creare “occasioni”. Le “occasioni”, quelle perfette.