IL NATALE RIVELATO

 

Le tradizioni della Befana/ La Grande Vecchia

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La Befana esiste. Nell’inconscio collettivo, nelle tradizioni popolari, nella fantasia dei bambini, naturalmente. Se questo è poco, fate voi. A noi interessa capire perché questa Grande Vecchia ha suscitato e suscita paure e speranze, allusioni al Soprannaturale e goderecci richiami al prosaico e al profano. Di certo, se per avventura ci potesse capitare di salire sulla  sua mitica scopa, voleremmo molto lontano. Nello spazio e nel tempo. E giungeremmo nelle arcaiche società dei nostri antenati, i quali conoscevano bene la figura della “strega buona”, che dispensava doni, ma soprattutto aiutava l’eroe a superare fatidiche prove. E queste erano  non dissimili da quelle che quotidianamente tutti i fanciulli dovevano superare per entrare nella società degli adulti.

Era questo il rito, acutamente descritto da Vladimir Propp, dell’iniziazione, con il quale “moriva” l’uomo “vecchio” e rinasceva quello “nuovo”, pronto a convivere con i suoi simili. Le prove spesso erano spaventose e solo alla fine l’iniziando scopriva l’inconsistenza delle figure che lo avevano spaventato. Ma per scoprirla era necessario il contatto con l’Arcano della Morte: perciò l’eroe diventava cieco quando giungeva dinnanzi alla Maga. Non è un caso che la nostra Befana si “riveli” solo ai bambini. Che per ottenere da lei i doni, devono aspettarla con gli occhi chiusi. Per poi scoprirla “inesistente”, quando diventano “più grandi”.

Ambigua è dunque la Maga della notte del 5 gennaio. Da un lato richiama, per questa strana analogia con l’iniziazione, la Morte, dall’altro la Vita, che si manifesta a livello spirituale attraverso la componente religiosa e a livello laico-profano attraverso l’esaltazione della vitalità delle forze della Natura.

 Il primo aspetto, quello per così dire plutonico, si ricollega alla credenza secondo cui i morti ritornano sulla Terra in un periodo dell’anno che suscita angoscia: dal 2 novembre al 6 gennaio. In questa data i revenants, secondo la mentalità popolare abruzzese e campana devono rientrare nelle buie dimore del Nulla. Perciò a Sassano (Sa), come rileva Pasquale Petrizzo, nella notte del 5, davanti ad ogni casa c’è una candela accesa, per accogliere i defunti. O, come risulta da un’indagine da noi condotta sulle visioni oniriodi e sugli incubi notturni nell’Agro nocerino-sarnese, per dare ai morti una lampada, con la quale “poter andare definitivamente dinanzi a Dio”. Di qui una sorta di psicosi di fronte alla magica  notte della Befana:  “Tutte ‘e ffeste  -recita un detto popolare-  vanne e venene, sule  ‘a Bbefanie n’avessa mai vinì”.

Eppure, proprio dalla paura del demoniaco e del sotterraneo che avvolge il mito della Befana emerge paradossalmente l’aspetto benefico di questa Vecchia munifica. Basti ricordare che in una filastrocca siciliana, raccolta dal grande Giuseppe Pitré, l’espressione “cose dei morti” significa nientemeno che i doni della Befana. Parallela a tale concezione si pone del resto un rituale dal vago sapore orgiastico, che tuttora sopravvive nelle campagne di Sessa Aurunca (Ce). Dalla fine dell’anno all’Epifania, allegre brigate di giovani vanno in giro, accompagnandosi con il rumoroso suono del putipù (strumento che trionfa anche nelle serate folkloriche di inizio d’anno a Capri) e facendo gli auguri alle famiglie, da cui ricevono generoso Falerno e casarecce frittelle.

Ma il clou della ritualità popolare befanesca lo si raggiunge a Vico Equense (Na), dove nel 1909, per iniziativa di Fra Pasquale Somma dei Padri Minimi di S. Francesco di Paola, nacque la suggestiva sfilata in costume delle Pacchianelle. Vocabolo che (derivando da pagus, cioè “villaggio”) evoca di per sé le coordinate della cultura agreste, che, secondo Alfredo Cattabiani, è sottesa alla mitologia della Befana (questa dunque non sarebbe altro che Madre Natura, la quale, invecchiata, prima di “morire”, offre a tutti ricchi doni).

Nel corso della festa di Vico le “pacchianelle” e 200 personaggi del Presepe sono accompagnati da cornamuse scozzesi e autoctoni zampognari, mentre Maria, Giuseppe e il Bambino sono seguiti da portatori di “flabello”, un regale ventaglio orientale.  E’  questa in Campania la più spettacolare operazione tesa a cristianizzare la pagana Befana: del resto non dimentichiamo che nel greco delle Chiese orientali Ta epifàneia o epifània ierà (da epifàneia, cioè manifestazione divina) significa “Feste delle Manifestazioni”  di Cristo e che sia la laica Befana, sia i Magi cristiani, sia le popolari “pacchianelle” sono in rapporto fra loro in quanto  recano doni.

Ma, a proposito di doni, resta un interrogativo: e il famoso carbone che c’entra in tutto questo? C’entra; e come! Il carbone è notoriamente il simbolo dell’energia latente e della rinascita. Sembra strano, ma ci vorrebbe il carbone, tanto carbone, per questo nostro Sud, ferito a morte, ma disperatamente vivo.

 

 

 

 

Laureato in Lettere classiche e in Sociologia, docente di Italiano e Latino al Liceo Classico di Sarno, giornalista pubblicista, ha insegnato “Linguaggio giornalistico” all’Università di Salerno. E’ autore, tra l’altro, di due storie della letteratura italiana e de “Il Labirinto e l’Ordine” (Commento integrale alla “Divina Commedia”), di testi teatrali e saggi sulle tradizioni popolari. Il suo manuale “Le tecniche della scrittura giornalistica” (Ed. Simone) è citato nella Bibliografia della voce della Enciclopedia Treccani “Giornalismo”, appendice VII – 2007. Ha scritto "la città che urla segreti", il thriller storico ambientato nella Napoli misteriosa (Guida Editori) e "le ombre non mentono", il thriller storico ambientato nella Salerno misteriosa (Guida Editori)